Cava Ieri
Tramutola e i benedettini cavesi
La citta di Tramutola, in provincia di Potenza, ha origini legate alla presenza dei monaci benedettini dell’Abbazia della SS.Trinità di Cava.
Nel 1144, un monaco di nome Giovanni di Marsico, che era cappellano dell'abate Marino della Badia di Cava, ottenne la simpatia di alcuni ricchi signori che donarono all’abbazia di Cava la chiesa di San Pietro, insieme al dormitorio e a tutti i suoi beni. La donazione fu poi formalizzata con il consenso del vescovo di Marsico Giovanni II.
La reputazione di santità dei monaci benedettini di Cava e il loro lavoro di bonifica in una zona paludosa contribuirono all'espansione dell'insediamento. L'attenzione dei monaci alla città favorì la coltivazione del gelso e l'allevamento dei bachi da seta, che insieme al lino, alla canapa e alla produzione tessile, costituirono per secoli l'economia locale. La dipendenza dall'Abbazia di Cava diede alla comunità di Tramutola una certa protezione dai soprusi subiti da altri paesi da parte dei signori feudali.
L'abate di Cava, che ottenne il titolo di Barone di Tramutola, governava attraverso un vicario per gli affari ecclesiastici e un "bajulo". Il "bajulo" era responsabile per gli aspetti fiscali e finanziari del governo dell'abate di Cava, che esercitava il suo potere su Tramutola. Si trattava di una figura amministrativa incaricata di gestire le questioni economiche della comunità e garantire l'adempimento delle responsabilità finanziarie. I capi delle famiglie potevano esprimere le loro opinioni attraverso un parlamento che si riuniva due volte l'anno.
Nel 1278 Carlo I d’Angiò notizio’ per il tramite dei suoi giudici di fornire soldati al sovrano per la guerra e considerato che l’abate di Cava non aveva esentato gli abitanti di Tramutola dal servizio militare, fu riconosciuto che la citta’ potentina “non aveva piu’ alcun obbligo di servizio feudale o personale verso la Curia”.
Vasta documentazione è presente sull’argomento nei documenti dell’Archivio della Badia nel maggio 1148, nel 1151, nel 1154 e nel 1166.
Testimonianza del passaggio dei monaci cavesi è la lunetta con stemma, sovrastante il portale d’ingresso della Chiesa madre di Tramutola. La lunetta è sorretta da una mensola in pietra, ove i monaci di Cava, I Cassinesi, posero le insegne religiose, con le iniziali S. T. (Santissima Trinità). Sulla parte della facciata sovrastante la porta di accesso della chiesa, é inciso lo stemma su di una lastra in pietra con al centro uno scudo personale a due fasce e al sommo la mitra, il tutto appoggiato su una base floreale. Nel contenuto della lunetta, sono racchiusi i simboli di quel potere spirituale e di giurisdizione feudale che da Cava si propagarono a Tramutola.
Gli scavi a S.Cesareo del 1957
L'intervento archeologico a Cava del 1957 ha riguardato la zona di San Cesareo e l'indagine di scavo è stata condotta da alcuni archeologi della Soprintendenza tra marzo e maggio.
Un primo il tratto di lavoro interessò il fondo agrario di proprietà Iorio. Ricordiamo che la località di San Cesareo era già stata oggetto di varie rinvenimenti e già nel 1932 fu trovato un busto votivo di terracotta, conservato nella Badia di Cava. Nel fondo di casa Contursi furono ritrovate una tomba con cassa di mattoni, una statuetta di terracotta e a circa due metri di profondità una soglia di pietra con una cassetta di mattoni di epoca tarda romana: le statuette furono portate alla Badia.
Da San Cesareo proviene anche un’urna funeraria nella Sacrestia della chiesa di Santa Maria di Vetrato e ancora alcune lucerne fittili conservate al comune di Cava e che avevano fatto parte di corredi di tombe in questa frazione che furono trovati agli inizi degli anni ’50.
Nel 1957 venne ritrovato sul fianco sinistro della chiesa di S. Cesareo e nella proprietà Ferrara furono fatti vari scavi: si rinvenne un anello di bronzo, un frammento di terracotta, altre terrecotte, dei frammenti di ceramica sannitica e un muro con numerose conchiglie con altri frammenti di muro. In effetti si pensò alla scoperta di una sorta di complesso termale e, continuando lo scavo, si rinvenne un pavimento con impianto di riscaldamento con il recupero di alcuni pezzi di marmo bianco e giallo. Vi erano poi i resti di alcuni cunicoli appartenenti all'impianto termale e vari muri. Alla fine, dopo una serie di lavori ed indagini archeologiche, si trovarono delle lucerne risalenti dal I al III Sec.d.C. Furono trovati anche frammenti di piombo che erano delle tubature idriche della villa termale, il ritrovamento di vasellame da mensa da cucina, il becco di un lucernario e piatti di ceramica nera che potrebbero far parte della cosiddetta” ceramica campana” databile al II sec. A.C.
Probabilmente la villa romana si è trasformata in architettura medievale conventuale. Le acque termali molto probabilmente raggiungevano l’antico acquedotto romano del torrente Selano. Questi acquedotti furono realizzati per la città di Marcina oppure l’acqua potrebbe essere stata utilizzata nel passaggio per il “ponte del diavolo”, recentemente crollato a Molina.
A S. Cesareo comunque doveva esserci una villa romana di dimensioni importanti, stante l’ampiezza del settore termale, risalente almeno al IV sec. a.C. Fu poi fu riedificata sul precedente insediamento. Successivamente sulle cisterne fu costruita la chiesa di Santa Maria della Peschiera, di fronte alla chiesa di San Cesareo. Ricordiamo infatti che il nome “peschera” aveva il significato di cisterna. Una dimostrazione che sulla struttura della villa stessa fu costruita la chiesa, è data anche da un pavimento in bianco e nero a motivi geometrici che purtroppo fu lasciato a vista, durante i lavori dei di restauro dei dipinti settecenteschi del 1989 nella chiesa.
tratto da Apollo Bollettino dei Musei Provinciali di Salerno
Cava e i suoi porti nel Cilento
Anche Cava ha avuto i suoi porti e si espansa, tramite l’Abbazia della SS.Trinità, anche nel Medio Oriente.
Nel 1097, il conte Guaimario, signore di Giffoni, donava a Cava un piccolo porto sul mare di Velia. E’ nota l’importanza dei porti per l ’Abbazia che, proprio dalla fine del secolo XI, esercitò una vasta attività marinara nel golfo di Salerno e fino in Africa e in Asia Minore
L’ ascesa di Cava proseguì nel secolo seguente, quando, nell’anno 1123, l’erezione, ad opera dell’abate Costabile, del Castello dell’Abate sulla vetta del monte de Gulia e del circostante centro abitato, dette ai domini cavensi del Cilento un centro amministrativo e un presidio strategico contro le scorrerie dei barbari: la costruzione del castello fu ultimata dall’abate Simeone. La fortezza era in posizione dominante e potè assolvere in pieno la funzione per cui era stata ideata. Gli abitanti delle vicinanze accorsero subito sotto la sua protezione; raggrupparono le dimore ai piedi delle sue muraglie, formando così, in molto poco tempo, uno dei centri più popolosi di tutta la costiera cilentana.
L'abate Costabile in una rappresentazione presso l'Abbazia SS.Trinità di Cava
Nel 1124 fu comprato dall’abate Simeone il piccolo porto di Traverso presso punta Licosa: ingrandito, esso diventò uno degli approdi più sicuri della regione. Altri cinque porti furono confermati da Guglielmo Sanseverino all’ abate Benincasa, nel 1186.
Si può dire che nei secoli a venire la storia del Cilento si identificherà con la storia della Badia di Cava e con quella, nel complesso benefica, dei potenti Sanseverino, i quali crearono il loro bastione nella «Rocca Cilenti». Nel marzo 1187 fu proprio Guglielmo Sanseverino a riconoscere i confini dei possedimenti che la Badia aveva nell’ambito della laica Baronia del Cilento: cinque porti sulla costa, il Castello dell’Abate e finalmente i casali sorti attorno ai vecchi monasteri pre-cavensi. Fu il periodo d’oro del Cilento.
Tratto da Rassegna storica salernitana gen/dicembre 1962 e P.Guillaume, Essai historique sur l’Abbaye de Cava, Cava dei Tirreni, 1877
La letteratura archeologica su Cava
Su Cava de’ Tirreni possediamo una letteratura archeologica piuttosto limitata.
Oltre a studi di storici locali quali:
Aniello Polverino Descrizione istorica della città fedelissima della Cava 1716, pagg 48-49, 67-68 leggi qui
Orazio Casaburi ,Raccolta di notizie storico-topografiche sull'antica, e distrutta città di Marcina cominciando da tempi incerti, sino al secolo 17., e sull'origine delle due città di Vietri, e Cava. 1829 pagg .93-94; leggii qui
Giovanni Alfonso Adinolfi Storia della Cava distinta in tre epoche 1846, pagg. 43- 50; leggi qui
da Andrea Carraturo nel 1976 nelle Ricerche storicotopografiche della città e territorio della Cava. ed. Di Mauro.e a sporadiche notizie comparse fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento su ‘’Notizie degli Scavi di Antichità’’ (vedi ad es. Matteo Della Corte 1918,pagg. 268-269), Cava è menzionata sempre in relazione all’insediamento di Marcina citato da Strabone.
Gli utimi contributi su Cava sono stati a cura di Matilde Romito che ha esaminato le scoperte fatte fino ai primi anni '90 con un articolo pubblicato su Apollo,la rivista del Museo Provinciale di Salerno, nel 1993 e una rilettura ricavata da un'attenta ricognizione archivistica presso la Soprintendenza di Salerno e diverse indagini da parte di Christian Siani e pubblicata nel 2018 in Dialoghi sull’Archeologia della Magna Grecia e del Mediterraneo - Atti del III Convegno Internazionale di Studi.
Le scoperte archeologiche del 1931 - La statua della Pudicizia
Dall’ archivio del museo provinciale di Salerno si ricava che sostanzialmente due sono i periodi più importanti del 900 per la scoperta di reperti archeologici a Cava: nel 1931 - quando furono trovate tracce di necropoli romane - e il 1957, quando fu scoperto un complesso termale e anche altri settori di una villa romana che però sono stati poi successivamente interrati.
Nel 1931 furono effettuate in profondità delle fognature lungo la sede della SS.18 (detta Nazionale) dalla stazione verso l’Epitaffio. Agli inizi di marzo del 1931, con la scoperta di frammenti di tegole, fu fatta subito una segnalazione al direttore del Museo provinciale di Salerno e venne denunciato che, mentre si stava scavando, era stata ritrovata una statua femminile di un metro e 40 ,senza la base, sotto uno strato di lapillo e dei frammenti di olle (pentole di terracotta) grezze con tracce di cenere .Erano scavi di tipologia tardo romana e questo fu il giudizio che viene comunicato all’epoca sulla statua ritrovata::”ha corpo appiattito e figura assai irrigidita, coperta da un mantello trattato a larghe pieghe che avvolge il corpo; un lembo di esse è ripreso sul seno e sostenuto dal braccio destro è levato in alto, il braccio sinistro è piegato sul ventre e regge l’altro lembo del manto, mentre la mano pende lungo il fianco destro; Il viso tratteggiato assai schematicamente, appare per giunta sfigurato da corrosione; si tratta di opera romana” . In seguito gli scavi furono continuati e furono scoperte sempre nella zona Epitaffio, presso l'hotel de Londre, due tombe a cassa di laterizi e tre deposizioni d'infanti in grosse anfore grezze di tipo tardo romano ; fu trovata anche una piccola ciotola di terracotta grezza in frammenti. Addirittura risulta che durante lo scavo delle fondazioni del palazzo Coppola che fu fatto nel 1911 sarebbe stati trovati corredi di tombe.
Sembra quindi delinearsi abbastanza chiaramente che c’era una necropoli romana nella zona dalla stazione ferroviaria e Corso Mazzini- Ma gli scavi per la costruzione delle fognature non furono mai sospesi.
La statua ritrovata comunque non apparteneva al periodo tardo romano, come fu all’epoca scritto, ma aveva origini ben più antiche di quelle ipotizzate, cioè risaliva all'età tardo repubblicano e addirittura inizi dell'età imperiale. Infatti lo strato piroclastico su di essa ritrovato deve sicuramente riferirsi alla grande eruzione del ’79 d.C. che coprì tutte le citta vesuviane.
La statua funeraria è stata posta nel complesso di San Benedetto a Salerno (l’attuale museo provinciale) nel 1964 nel Lapidarium , dopo essere stata “abbandonata “ nei depositi. Inizialmente in quegli anni si pensava che la statua appartenesse all’Orto Agrario di Salerno, ma poi fu ritrovato un grafico realizzato nel giugno del 1932 che visualizzava l’opportunità di sistemare il reperto trovato a Cava su di un piedistallo di travertino, fatto venire appositamente da Paestum, per sistemare la statua nel cortile dell’allora Palazzo del Governo.
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Il disegno della statua del 1932 con la base di travertino | La statua Pudicitia nel Lapidarium del Museo Provinciale di Salerno |
La tipologia della statua è riconducibile nella scultura tardo repubblicana ed augustea: è infatti del tipo della cosiddetta Pudicitia, usato per statue femminili iconiche e rilievi funerari tra l’inizio del I sec. A.C. e l’età augustea.
Degli altri reperti del 1931, quattro pesi fittili trapezoidali, un balsamario di terracotta e uno di vetro, numerose coppette di cui quattro a vernice nera, una lucerna di bronzo con l’asta di sospensione, una piccola testa maschile echeggiante il tardo ellenismo sono probabilmente conservati nei depositi del museo.