Henry Swinburne e l'Avvocatella (1777)

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Henry Swinburneg(Bristol, 1743-Trinidad, 1803)proveniva da una famiglia agiata e fuavviato alla carriera ecclesiastica. RicevutAuna ricca rendita dopo la morte del padre, si dedico' alla sua passione per una vita di studio e conoscenza attraverso i viaggi. Giro' il continente da giovane per trovare la giusta ispirazione per i suoi studi. Studiò a Parigi, Bordeaux e presso l'Accademia Reale di Torino, concentrò i suoi studi per l'arte e l'italiano; dopo il matrimonio in Gran Bretagna, continuò i suoi viaggi con la moglie nonostante il reddito modesto di cui disponeva.  Visse, dal dicembre 1776 al maggio 1778 nel Regno di Napoli, girandolo in lungo e largo.

Nell’autunno del 1777 Swinburne esplora anche la costa d’Amalfi.  Nel suo viaggio di ritorno da Paestum si ferma a Cava ed in particolare arriva all’Avvocata. Ecco il suo racconto di viaggio.

L’ Avvocata

      Da questa località [Dragonea], viaggiai fino alle foreste, sopra rocce appuntite e precipizi, giungendo al monastero di Camaldoli, dedicato a Santa Maria dell’Avvocata. L’aria era sfortunatamente così inviluppata nelle nebbie che si vedeva solo per momentanei intervalli, quando colpi di venti squarciavano il velo, sicché potevo indulgere solo con uno sguardo verso la costa e le montagne; invano il sole illuminava per me il paesaggio sottostante; potevo solo percepire quanto brillantemente la scena fosse schiarita dai suoi raggi. Il priore e il suo assistente mi ricevettero molto cortesemente offrendomi ospitalità. Accettai l’invito e mangiai con prontezza un frugale pasto di maccaroni e verdure. O per la fame che aveva fatto svanire tutte le delicatezze epicuree del palato o perché ciò che mi fu offerto era di una bontà fuori dal comune nel suo genere, trovai certamente un grande sollievo da questo pranzo casalingo.

     Dopo pranzo, mi recai nei boschi, dove i frati avevano aperto sentieri lungo la costa della montagna, esattamente nello stesso stile naturale che un montanaro avrebbe adottato una volta chiamato ad intervenire in una situazione analoga. La nebbia aveva ostruito per qualche tempo la vista ma verso sera essa si dileguò e mi strinse la gioia di un panorama estremamente sorprendente. Mi sembrava di guardare da un altro mondo attraverso un’apertura nella volta del cielo.

     Il convento occupa la punta del promontorio che si proietta dalla montagna e ha coste così ripide dagli altri tre lati, che io rabbrividì al primo sguardo verso il basso. Le montagne sorrentine sono in tutta la loro visibilità, mischiate in una rude e maestosa confusione; città e villaggi sembrano come punti in una mappa, e i confini del mare sono persi nel cielo.

    I monaci camaldolesi sono mandati qui a rotazione da altri conventi; essi conducono una dura vita, e per molti scopi di umano e nazionale beneficio, invero inutile; sono completamente soddisfatti dell’estremo vantaggio per sé stessi, in particolare di quanto essi in tal modo divengano ben accetti alla divinità e anche al popolo per l’efficacia delle loro preghiere, le quali fermarono un flagello prima che esso toccasse i colpevoli mortali. Le loro orazioni sono quasi incessanti, e l’applicazione allo studio non è permessa; davvero essi sono efficacemente impediti dal cadere in errore grazie a sette chiamate dalla chiesa ogni giorno, e al costume di pausa e di meditazione per ogni verso del loro ufficio. Essi, tuttavia, godono della libertà di andare fuori e di osservare sanamente con più grande possibilità dei Certosini. L’aria di questi posti è veramente pura, ma è crudelmente disturbata dai temporali specialmente d’inverno, nella quale stagione, una settimana non passa senza che qualcuna delle costruzioni non sia colpita da un fulmine. I monaci affrontano il pericolo con grande spregio, affidandosi coraggiosamente alla protezione della Madonna; essi infatti mi confidarono che un prete era stato colpito presso l’altare e un fratello laico ucciso. I venti erano così poderosi e taglienti che neppure i fiori o i frutti potevano essere piantati, perciò i giardini che appartenevano a ciascuna cella erano piantati solo con ortaggi; talvolta i colpi di vento investono i fratelli laici mentre attraversano il cortile con il pranzo per i monaci e vola via il cestino con le provviste. La neve vi si trova per metà dell’anno. Le rendite del monastero ammontano a 2.000 ducati l’anno e agenti nelle città della costa li approvvigionano quotidianamente di pesce e altri beni necessari. Alle donne è concesso di entrare nel convento solo in due giorni dell’anno; tutti i pellegrini maschi e i viaggiatori sono alloggiati e rifocillati per tre giorni e quando il mare è così mosso da non permettere l’arrivo ad Amalfi e in altri posti della costa, il convento offre un servizio importantissimo ai passeggeri, essendo situato sull’unica strada praticabile attraverso le montagne.

                                                                                             

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