Il mio luogo del cuore e il quadro di Guttuso
Nei meandri delle nostre colline di Cava, nella zona di Rotolo, si trova un luogo magico che risuona di bellezza e spiritualità: una piccola cappella, nascosta tra le curve sinuose delle colline, gioiello silenzioso che si affaccia su uno scorcio mozzafiato del Tirreno. È qui che il tempo sembra fermarsi, e ogni visita durante le mie lunghe passeggiate mi evoca una sensazione di pace e appartenenza.
E’ una cappella dedicata alla Madonna di Portosalvo, posta tra le dolci colline cavesi e circondata da un paesaggio ancora incontaminato, che offre uno spettacolo di rara bellezza. Ciò che rende questo angolo di paradiso ancor più speciale è il rapporto intimo che ho scoperto legare questa visione artistica al celebre pittore Renato Guttuso.
Premetto che questo posto è da sempre il mio luogo del cuore. È un posto che mi dona una sensazione di tranquillità e felicità, una meta in cui ritrovare se stessi. E’ un panorama che fa vibrare l'anima, che racchiude preziosi ricordi: un luogo del cuore è sempre intriso di implicazioni affettive ed emotive che si intrecciano con la nostra storia personale, i nostri affetti e i nostri desideri più profondi, che ci riporta ad un caleidoscopio di emozioni e ricordi Ognuno di noi ha un luogo del cuore, un luogo speciale che ci fa sentire a casa, che ci riempie di emozioni e che ci lega a ricordi.
La bellezza di Cava de' Tirreni è ben nota, ma sono pochi quelli che hanno avuto la fortuna di scoprire questo piccolo gioiello nascosto tra le sue colline. Circondato dal verde lussureggiante; il panorama si apre da una balconata su uno scorcio di un mare di verde ed un triangolo di azzurro, creando un contrasto cromatico che incanta gli occhi e l'anima. L'atmosfera qui è surreale, come se il tempo si fosse fermato per permettere a chi ama la natura cavese di godere di questa meraviglia in tutta la sua magnificenza.
Immersa in questo paesaggio, faro di fede e speranza, come prima scrivevo, c’è la piccola cappella della Madonna di Portosalvo con l'icona rappresentante il salvataggio di marinai nell'antico porto di Cava, Marcina. A fianco una vecchia panchina in ferro, dove spesso mi fermo a sedere e a contemplare questa meraviglia.
Ciò che mi ha sorpreso però è che proprio in questo sito, un po’ nascosto nella nostra città, il noto pittore Renato Guttuso ha trovato l'ispirazione per un suo quadro ad olio. La magia di questo luogo non è sfuggita al celebre artista siciliano. Nel 1952, ispirato dalla straordinarietà del paesaggio, Guttuso ha immortalato lo scorcio marino in un quadro ad olio, vibrante ed espressivo. Le pennellate audaci e i colori vividi ha catturanto l'essenza del paesaggio e delle colline circostanti, rendendo omaggio alla serenità e alla grandezza spirituale del luogo.
Nel dipinto ha immortalato lo stesso scorcio di mare che mi incanta.
L'opera è diventata percio’ una testimonianza tangibile dell'emozione che avvolge questo posto, dipingendone per sempre l'incanto visivo e spirituale che si respira in quel preciso punto.
Questo quadro, scoperto per caso, è diventato per me una fonte di ammirazione e di gratitudine: con uno degli artisti neorealisti piu’ famosi del Ventesimo secolo, il mio hearth place è diventato anche un'opera d'arte, che posso ammirare e che puo' essere condiviso da tutti.
E ora, ogni volta che mi trovo in questo piccolo angolo di paradiso di Cava, sento la presenza tangibile dell' arte di Guttuso. La sua interpretazione artistica, con le sue forti pennellate, ha infuso ulteriore vita ed emozione al mio luogo del cuore, intensificando il legame affettivo che mi unisce a questo paesaggio idilliaco e creando un connubio tra arte e natura che nutre l'anima e ci regala serenità, in un mondo oggi tanto desideroso di pace e di bellezza.
Le vampe: una tradizione contadina che si rinnova
Nipote di contadini, sono cresciuto con le tradizioni contadine, tra cui le vampe, che si celebrano ogni 17 gennaio, giorno di Sant'Antonio Abate, patrono degli animali ed in particolare dei maiali. Le origini di questa tradizione sono antichissime e si perdono nella notte dei tempi. In origine, i fuochi erano un rito propiziatorio per scongiurare le malattie al bestiame: si credeva che il fuoco avesse il potere di purificare e proteggere, e che i fumi e le ceneri allontanassero le entità maligne.
Nelle nostre zone, in Campania, la tradizione delle vampe di Sant'Antonio Abate è ancora viva in alcuni paesi, soprattutto nelle aree rurali ed è mantenuta anche nella valle metelliana. Ancora oggi, 17 gennaio, è possibile vedere a macchia di leopardo sul nostro territorio grandi falò accesi nelle piazze, nei cortili e nelle aie. Sono soprattutto i bambini e i giovani a volerli, mentre gli adulti si radunano intorno al fuoco per tradizione religiosa: il tutto è’ diventato oltre che tradizione anche un momento di socializzazione.
Sembra curioso, ma questo è un raro momento in cui bambini e adulti sono lontani dai “social” per essere veramente “sociali”.
Questa tradizione, che rappresenta il legame tra la popolazione contadina e la sua terra, è stata in parte rivisitata e rinnovata nel tempo. In passato, infatti, i fuochi erano accesi per scongiurare le malattie al bestiame, ma oggi sono visti anche come un simbolo religioso di purificazione e rinnovamento.
In sincerità, sono contento che questa tradizione stia ancora resistendo nella nostra società, anche se in forma diversa rispetto al passato. È un segno che il legame con le nostre radici contadine è ancora forte e ritengo che le vampe di Sant'Antonio Abate siano una tradizione importante da preservare: rappresentano un momento di festa e di condivisione, ma sono anche un simbolo di speranza e di rigenerazione.
L'attesa dei fuochi di Sant'Antuono da bambino è stata per me sempre un'esperienza elettrizzante. Nei giorni precedenti alla festa, si respirava un’atmosfera festosa e carica di aspettative e si preparava nell’aia del nonno la raccolta del legno, foglie e altri materiali per costruire i falò. La sera del 17 gennaio, la festa iniziava. Il fuoco veniva acceso, illuminando tutti con una luce calda e scintillante. Era e resta un'esperienza magica e noi bambini restavamo circondati da atmosfera ipnotica. Ricordo l’ondata di calore, quel calore delle fiamme che riscalda il corpo e l'anima. Si stava al caldo e si ammirava la bellezza del fuoco.
Le vampe di Sant'Antuono sono un momento di condivisione: il calore della legna si unisce al calore umano,che riscalda l'anima e crea un'atmosfera di gioia, di felicità.E poi, chissà per quale recondito motivo, si tende a cantare: il ritmo della musica si fonde con il crepitio delle fiamme, creando un'atmosfera speciale.
E’ un'esperienza unica e coinvolgente: se vi capita l'opportunità di partecipare a questa festa, non esitate. È’ un'esperienza che non dimenticherete mai.
Due storie di presepi che si intrecciano
Il Natale è arrivato e tra le tradizioni più amate da noi in Italia c’è quella del presepe.
Nel contempo negli scorsi giorni negli Scavi di Pompei, in una domus confinante con la casa di Leda, sono state ritrovate 13 statuine in terracotta, alte circa 15 centimetri, che rappresentano figure umane unitamente ad una noce, una mandorla, la testa di un gallo in argilla e una pigna in vetro. Si tratta di tracce di un antico rito, legato al ciclo vitale delle stagioni e alla fertilità della terra, che si svolgeva in occasione dell’equinozio di primavera. Alcuni soggetti sembrano rimandare al mito di Cibele e Attis, la dea madre e il suo consorte, che moriva e risorgeva ogni anno.
Queste statuine, che erano conservate in un ambiente decorato con affreschi, potrebbero essere considerate come i precursori del nostro presepe, in quanto erano usate per allestire delle scene simboliche nelle case, in onore degli dei.
Anche se non si riferivano alla nascita di Gesù, ma a un altro evento di rinascita, mostrano come gli antichi romani avessero il senso della rappresentazione e della devozione.
Dove nasce questa usanza? E quali sono i legami tra il presepe di Pompei e il presepe di Greccio, creato da San Francesco nel 1223?
Le statuine di Pompei, conservate in un ambiente decorato con affreschi, potrebbero essere considerate come i precursori del presepe, in quanto erano usate per allestire delle scene simboliche nelle case, in onore degli dei.
Il presepe di Greccio, la tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, rappresenta il primo presepe vivente della storia, allestito da San Francesco a Greccio, in provincia di Rieti, nella notte di Natale del 1223. Fu un modo per avvicinare i fedeli al mistero dell’incarnazione, rendendo concreto e tangibile il messaggio di umiltà e povertà di Gesù. Fu anche un gesto di pace e di fraternità, in un periodo di conflitti e di violenze ed un invito a contemplare la semplicità e la povertà del messaggio cristiano, che si esprime attraverso la figura del bambino Gesù.
Il presepe di Pompei e il presepe di Greccio sono due storie che si intrecciano, pur appartenendo a epoche e contesti diversi.
Entrambi testimoniano la capacità dell’uomo di esprimere la propria fede e la propria cultura attraverso delle immagini, che parlano al cuore e alla mente. Entrambi raccontano di una nascita, di una speranza, di una luce che illumina le tenebre e ci invitano a riflettere sul senso del Natale, sulla nostra umanità e sul valore della vita.
In conclusione, il presepe di Pompei e quello di Greccio ci insegnano che, nonostante le differenze storiche e culturali, l’espressione della devozione e della spiritualità è un aspetto intrinseco dell’esperienza umana. Queste rappresentazioni del presepe ci invitano a contemplare e a celebrare il Natale con un rinnovato senso di meraviglia e di riflessione sulle nostre radici e sulle nostre tradizioni.
L’anacronistico presepe moderno diventa, con questa scoperta, ancora una volta uno degli archetipi piu antichi che esistano: un racconto, un libro senza fogli di carta, un quadro con una profondità nello spazio, che non va solo guardato ma anche contemplato e nel contempo ci mostra la sua derivazione dall’abitudine pagana di conservare delle immagini di parenti scomparsi, delle statuette degli avi defunti della famiglia, in appositi luoghi o nicchie, ambienti in miniatura, da onorare in occasioni particolari dell’anno.
Come spesso accade, la cultura dell'antica Roma ha esercitato un'influenza duratura e significativa su molte tradizioni e abitudini che persistono fino ai giorni nostri, che il Cristianesimo ha saputo sapientemente permeare e rielaborare.
Ritroviamo l'equilibrio tra cani e... portici
La nostra incantevole cittadina vanta un tesoro architettonico unico nel suo genere: un doppio filare di portici che si estende per oltre mezzo chilometro, partendo dall'antico Borgo Scacciaventi. Questi portici, già edificati nel Medioevo, rappresentano un'autentica testimonianza storica, con pilastri di diverse dimensioni che rispecchiano gli stili dei secoli passati.
Nel corso del tempo, i pilastri hanno assunto diverse altezze, riflettendo gli stili architettonici dell'epoca. Mentre durante il periodo medievale raggiungevano altezze comprese tra 2,5 e 3 metri, nel XIX secolo, in pieno stile neoclassico, sono stati innalzati fino a raggiungere i 4-4,5 metri. Questa stratificazione storica rende i portici di Cava de' Tirreni un vero e proprio tesoro.
Tuttavia, negli ultimi tempi, a causa dell'abuso da parte dei cavesi, in particolare di coloro che considerano i cani domestici un segno di eleganza, i portici sono diventati un triste ricettacolo per urine e feci animali. Questa corrosione acida minaccia la conservazione delle basi medievali dei portici, che da secoli rappresentano il simbolo di Cava de' Tirreni nel mondo.
Nonostante siano state emanate diverse ordinanze e tentativi di sensibilizzare la popolazione, i portici stanno subendo un lento ma grave deterioramento a causa delle deiezioni canine. La moda diffusa tra i metelliani di possedere un cane come simbolo di prestigio ed eleganza ha portato a un crescente numero di proprietari di cani nel centro storico. Purtroppo, non tutti si adoperano per raccogliere e smaltire correttamente le deiezioni dei loro animali, trasformando i portici in un ricettacolo per urine e feci. Questa corrosione acida sta danneggiando le basi medievali dei portici, mettendo a rischio il loro splendore storico.
Per preservare i portici di Cava de' Tirreni, che rappresentano un simbolo riconosciuto a livello internazionale, è necessario adottare misure concrete di tutela. Una di queste può essere una maggiore sensibilizzazione della comunità a prendersi cura della propria area circostante, incoraggiando i proprietari dei cani a raccogliere le deiezioni dei loro animali domestici. Altra soluzione potrebbe essere la distribuzione di sacchetti per deiezioni, mettendo a disposizione dei dispensatori di sacchetti per deiezioni canine nei pressi dei portici, in modo che i proprietari dei cani possano raccogliere facilmente le deiezioni dei loro animali.
Di aiuto potrebbe essere anche una segnaletica chiara, installando segnali ben visibili sui portici che ricordino ai proprietari dei cani di raccogliere le deiezioni e di mantenere pulita l'area ed una programmazione più costante della pulizia dei portici per rimuovere eventuali deiezioni lasciate inavvertitamente.
Ma il problema può essere risolto soprattutto con un aumento dei controlli e delle sanzioni per i proprietari non responsabili.
La prevenzione delle deiezioni canine richiede l'impegno di tutta la comunità. E a male estremi (la difesa del patrimonio culturale e storico di una città) vi sono estremi rimedi: la decisione di chiudere il Centro storico ai cani, misura per garantire la pulizia e l'igiene di queste strade storiche, così come per il rispetto degli spazi pubblici.
La presenza di cani all'interno del Centro storico porta allegria e compagnia, ma è fondamentale anche preservare e tutelare l'ambiente, affinché sia accogliente e sicuro per tutti i cittadini e i visitatori. Evitare di introdurre i cani all'interno del Centro storico ma creare anche spazi dedicati agli amici a quattro zampe nelle vicinanze, in modo da offrire loro un luogo adatto alle loro esigenze.
Ricordando la Sentenza della scolastica medievale che deriva da alcune frasi dell’Etica Nicomachea di Aristotele “In medio stat virtus”, manteniamo un equilibrio tra il diritto dei cani di godere degli spazi esterni e quello dei cittadini di usufruire di un Centro storico pulito e ben tenuto, ammirato da secoli, accogliente e di qualità per tutti.
Un tesoro culinario nel cuore dell'antichità
Un' oasi di storia culinaria è stata recentemente rivelata a Pompei, con la scoperta di un affresco murale davvero eccezionale. Gli archeologi del Parco Archeologico di Pompei hanno ritrovato un affresco che raffigura un piatto familiare a molti di noi: una sorta di pizza. Questa affascinante scoperta ci permette di gettare uno sguardo nel passato per comprendere le origini antiche di un vero e proprio simbolo della nostra cucina italiana.
L'affresco è stato rinvenuto nell'insula 10 della Regio IX, dipinto su una parete ben conservata di un'antica domus. Accanto a un calice di vino, posato su un vassoio d'argento, spicca una focaccia piatta, condita con deliziose e insolite combinazioni di ingredienti per l'epoca. Sulla focaccia si notano un melograno e forse un dattero, insieme a puntini color giallastro e ocra che potrebbero indicare l'utilizzo di spezie o, forse, di un tipo di pesto chiamato nell'antica Roma "moretum". L'aspetto visivamente accattivante di questo affresco ci fa riflettere su quanto il gusto del cibo sia rimasto immutato nel corso dei secoli.
Sebbene questo ritrovamento storico ci permetta di comprendere le origini antiche della pizza, è innegabile che questo cibo sia diventato un autentico simbolo della cultura napoletana nel corso dei secoli. La pizza napoletana, con la sua pasta soffice e sottile o piu’ compatta, i condimenti semplici ma gustosi e il profumo che si sprigiona dalle pizzerie dei vicoli di Napoli, si è guadagnata una reputazione senza pari in tutto il mondo.
Attraverso la scoperta di questo antico affresco, evidenziante una versione primitiva ma riconoscibile della pizza, possiamo riflettere sulla continuità gustativa che unisce il nostro presente all'antichità. La pizza, con il suo connubio perfetto di ingredienti e sapori, ha resistito alla prova del tempo. L'immagine dell'antico alimento, dipinta sulle pareti di Pompei, ci riporta indietro nel tempo, ma ci lascia anche riflettere, ammirandola sulla parete della villa dell’antica città, su quanto sia preziosa la nostra eredità gastronomica.