L'identità della ceramica cavese

Pubblicato in Le tradizioni Etichettato sotto Scritto da Matteo

Cava de’ Tirreni è una suggestiva cittadina di origini molto antiche: il territorio potrebbe essersi configurato nel IV sec. a.C. con una serie di insediamenti sparsi, secondo un modello di tipo paganico-vicano - come cita lo storico latino Tacito. Molti sono invece i rinvenimenti di epoca romana, tra cui l’acquedotto risalente al I-II secolo d.C., che convogliava le sue acque alla vicina Nuceria.

Materiali vari provengono da ville rustiche disseminate nell’intera vallata, da tombe di epoca romana che hanno portato alla luce numerosi reperti (statue, are, urne, ungentari, lucerne, coppette, numerosi frammenti di sigillata, anfore, pesi da telaio, etc). Incerta è la data di costruzione del castello che vigila sulla città di Cava ; ed è proprio qui negli ultimi anni sono stati portati alla luce interessanti reperti di epoca medievale e moderna durante i saggi di scavo effettuati e ne sono stati recuperati altri nel corso dei lavori di restauro del bastione est, ancora in fase di studio.

Nel 1011 un nobile longobardo, Alferio Pappacarbone, fondò l'Abbazia benedettina della Santissima Trinità, la quale, nei secoli a venire divenne sempre più potente con possedimenti che si estendevano fino in Sicilia. Anche Vietri e Cetara erano casali del territorio cavese che poi divennero nel 1806 e nel 1834 comuni autonomi. E’ molto probabile che all’inizio i monaci benedettini producessero essi stessi manufatti ceramici come attestano le notizie di fornaci intorno all’abbazia e i numerosi frammenti ritrovati durante gli scavi effettuati nei suoi paraggi.  E fu proprio l’Abbazia, (come cita lo studioso G. Donatone), unico esempio di istituzione monastica a carattere feudale , che diede luogo alla nascita e alla fioritura di un vero e proprio centro ceramico sottoposto al suo dominio fino al 1806, Vietri. Quindi la ceramica vietrese costituisce un capitolo della storia economico – produttiva di Cava de’ Tirreni: entrambe sono legate da antichi vincoli di comunanza, di relazioni culturali ed economiche.

Nel Quattrocento Masuccio Salernitano, al servizio della corte aragonese di Napoli, nella sua opera il Novellino afferma che Cava fu sempre abbondantemente fornita di singolari maestri muratori e tessitori  e che in tutto il Regno non si parlava altro che della ricchezza dei Cavoti.
Egli si riferisce agli speciali artefici, esperti nell’arte delle costruzioni , veri ingegneri e architetti, i famosi “regii fabricatores”. Ciò prova che i cavesi furono molto importanti per la produttività commerciale e che una fitta rete era collegata al settore edile : gli stessi portavano con sè embriciai e riggiolari. Il 4 settembre 1460   il re Fernando d’Aragona - riconoscente per il coraggio dimostrato ed il servizio reso dai cavesi contro gli Angioini - consegnò al sindaco della Città della Cava, Onofrio Scannapieco, una pergamena bianca, su cui la città avrebbe potuto indicare ogni sorta di richiesta. La Pergamena restò bianca ed il sovrano insignì l'intera città del titolo di "Fedelissima".

Grazie alle  ricerche archivistiche si è scoperto che qualche fornace era attiva al centro di Cava fino alla metà del Cinquecento , come quella della famiglia Carola. Nel XVIII secolo il repertorio figurativo cambia con prevalenza di monocromia turchina, avendo ampio consenso nel vasto mercato  e vedendo una concentrazione della produzione ceramica che continua a svolgere un ruolo non secondario nei territori campani attraverso le figure dei faenzari , che stabiliscono contatti anche con altri centri, come quello di Ariano Irpino .
Le fabbriche di ceramica continuarono per secoli a svilupparsi su questo territorio.

La tipologia riguardava soprattutto oggetti di uso comune e stoviglieria molto spesso prodotta priva di decoro, semplicemente con un bianco derivato da uno smalto che diventò famoso per la lucentezza che dava alle superfici. I colori utilizzati spesso con molta parsimonia, erano il giallo, il verde ramino, il rosa, il blu e il manganese; rimasti ancora oggi gli smalti che identificano la nostra ceramica.

L’Ottocento è un momento di profonda innovazione legata al nascere e all’emergere di una nuova classe sociale e dunque, rispetto al Settecento, in cui i pavimenti specie quelli a grande disegno unico erano privilegio di chiese, conventi e di palazzi della nobiltà , si vedono cambiare le regole e i principi legati a questo settore documentario. Vi è una grandissima diffusione dei pavimenti maiolicati che raggiungono tutte le case, anche quelle della piccola borghesia, quindi essendoci una forte richiesta la produzione nelle città campane aumenta, tanto da associarsi con fabbriche di altre regioni del regno sia per abbattere i costi sia per far fronte alla vasta clientela di tutte le regioni del Regno e dell'estero (Francia, Europa del nord, America, ma  soprattutto  Nord Africa e Impero Ottomano.).

Soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento e il primo Ventennio del XX secolo c’è un aumento della produzione pavimentale per Vietri, ma anche per i centri  salernitani con la stessa Cava; come risulta da alcuni marchi (Salvatore Adinolfi, poi mutata in Fratelli Adinolfi e di un altro marchio dei F.lli Cavaliere) . Se lo sviluppo del comparto  ceramico del territorio cavese non è dissimile da quella di altre di altre aree della Campania, un fenomeno del tutto originale e forse unico in tutto il meridione è quello che si sviluppò nel 1957 con la nascita della fabbrica per piastrelle per pavimenti e rivestimenti denominata C.A.V.A.  L’intuizione da parte di imprenditori cavesi di riproporre in un primo tempo gran parte dei decori tradizionali campani e successivamente decori innovativi e originali, supportati dall’arrivo di designers di fama europea, costituì una vera rivoluzione nello stanco panorama produttivo del salernitano.

 

pagina a a cura di ANNA RITA FASANO

 

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